Testo critico sulla mostra in corso "Que reste t'il de la dolce vita?" del Prof. Carlo Piga e fotografie delle opere
La
mostra Que Reste T’Il De “La Dolce Vita”,
è stata l’occasione per il gruppo di sei artiste e artisti romani, che vi hanno
partecipato, di confrontarsi idealmente con il grande capolavoro Felliniano, e
soprattutto per dialogare con l’anima della “Città eterna” colta nella sua
multiforme mutevolezza.
Nonostante
l’eterogeneità delle poetiche e dei linguaggi espressivi che contraddistinguono
la ricerca di lungo corso del gruppo di artiste e artisti impegnati, è emersa
in tutti gli autori, in modo particolarmente intrigante, una profonda affinità
con il tema della Visione che costituisce il nocciolo semantico della Dolce Vita.
Quella per intenderci che ha portato il
grande regista a cogliere sotto lo spirito gaudente e sbarazzino della Città
Capitolina, proiettata verso i fasti degli anni a venire, un sentore di
malinconica solitudine, prefigurando, in tempi non sospetti (il film è del
60’), le inquietudini dell’individuo contemporaneo.
In
Crepuscolo, una delle due opere di
Sabrina Ventrella, presentate in mostra, la visione assume la veste del
simbolico pesce (richiamo al mostro marino di Fellini), che pinneggia nel
sottosuolo di una Roma senza tempo, evocata attraverso le sue linee essenziali,
archetipe, echeggianti: le cupole, gli obelischi, i colonnati, l’acqua…
Nella
duplice veste simbolica Felliniana: rigeneratrice quando sgorga dalle fontane,
elemento straniante che nasconde metaforiche insidie, incarnate nel
pesce-mostro marino. Nell’opera dell’artista, s’intreccia anche il richiamo ad
un’epoca e ad una società in bianco e nero, dal ritmo lineare, analogico…, che
stabilisce un dialogo ideale con l’altra opera: Acrobazie.
Un
grande carrozzone circense, omaggio al circo Felliniano e metafora della
mutevolezza della vita.
Un’affascinante rappresentazione a colori,
fantasmagorica, vorticosa, riflettente l’attuale società, dominata dal potere
affabulatore di immagini ammaglianti, troppo spesso ingannevoli (da qui il
rimando alla Sirena incantatrice), a cui siamo quotidianamente esposti.
A
questo piano però se ne intreccia un altro, lo stupore, la meraviglia della
visione immaginativa, a cui alludono gli sguardi proiettati “oltre”, del Cappellaio matto, in Acrobazie e della Maga-veggente in Crepuscolo, che legano in modo sottilmente
ideale, le due opere con la Dolce Vita. È un richiamo, da parte dell’artista,
alla nostra risorsa più preziosa, quella che ci consente di proiettarci verso
una visione futura, quale antidoto alla massificazione culturale.
D’altro canto, tutta l’opera di Sabrina
Ventrella è improntata ad un’affascinante esplorazione del suo universo
poetico-visionario, realizzato di volta in volta, attraverso l’assemblaggio di
materiali e oggetti di riuso di ogni sorta (che preservano intatto il valore
della memoria), a cui si unisce una sapiente orchestrazione della materia
pittorica con risultati di grande equilibrio e armonia.
Il
dittico di Davide Querin: Il Discorso di
Steiner, seppur con linguaggio diverso, dialoga con la Dolce Vita, sullo stesso versante visionario e allusivo. Le due
opere pittoriche costituiscono, anche nella scelta del formato, un continuum, con cui l’autore, in sintonia
col proprio spirito introspettivo, mette in scena un affascinante gioco di
rimandi e trasparenze che riflettono l’idea di una percezione di molteplici
realtà sovrasensibili, che sfumano una nell’altra nella loro continua mutevolezza.
Si tratta di una riflessione intima
sull’essenza del capolavoro Felliniano, stigmatizzata in modo programmatico dal
regista nel famoso Discorso di Steiner (a cui l’opera di Querin è dedicata e
titolata), con il quale egli ha condensato l’essenza etica e filosofica del
Film.
Nel riquadro a sinistra è lo stesso
Steiner che vaga malinconicamente in una piazza deserta, priva di colore
(ricordo sfumato dei luoghi della metafisica), trasfigurata dai suoi pensieri
perturbanti, con l’unica presenza viva, data da un personaggio che osserva da
lontano, affacciato da una finestra illuminata, a cui corrisponde un’apertura
in basso (anch’essa illuminata). È il riflesso di sé, che guarda sé stesso da
un’altra angolazione, in cui conscio e inconscio si sovrappongono, fornendo una
possibile via d’uscita ai dubbi esistenziali del protagonista, che però egli
non percorrerà.
Il
telefono in bachelite, ci riporta all’irruzione del reale nella realtà,
fungendo da trait-d’union con l’altro
pannello, dove un’iconica Fontana di Trevi, diviene il luogo sospeso
dell’incontro “a colori” tra Marcello e Steiner; e il colore domina l’estremità
destra del dipinto. È l’epoca attuale che irrompe squarciando il sipario
temporale, in cui però volteggia l’elicottero proveniente dal passato che, come
nel film, trasporta il simulacro del Redentore in giro per la città, sorvolando
simbolicamente gli operai, i bambini, la terrazza con le ragazze di buona
famiglia, che accorrono incuriosite, ossia gli strati sociali, sfiorati in modo
grottesco da valori religiosi ormai sviliti.
Fontana
di Trevi
è di nuovo l’affascinante protagonista, anche nel titolo, di entrambe le opere
di Maria Rosaria Stigliano. Anche qui la monumentale fontana diviene archetipo
mnemonico di una sontuosa romanità che attraversa il tempo, sovrapponendo le
diverse epoche senza soluzione di continuità. E nel linguaggio dell’autrice il
tema della sovrapposizione e dello svelamento è quanto mai calzante, in
sintonia con una tecnica che letteralmente aggiunge o scava la materia
pittorica, disvelando realtà fuggevoli di interni o esterni urbani; i luoghi
prediletti della sua indagine; spazi mentali sospesi tra la veglia e il sogno.
La
prima delle due opere è letteralmente la messa in scena di un passato ideale,
vagheggiato dal pavimento-palcoscenico di una piazza silente, da cui si erge,
attrice protagonista la Fontana, con l’unica presenza viva data della ragazza
che medita silenziosamente.
L’altra opera: Fontana di Trevi I.A., con l’inquadratura instabile e il taglio
fotografico, rappresenta l’epoca attuale.
Una
contemporaneità evidenziata dal cartellone sullo sfondo, che pubblicizza
l’intelligenza artificiale, unica presenza “reale” in un luogo ideale.
Riflessione profonda e sottilmente sarcastica sul valore della creatività in
una società ipertecnologica, che tuttavia rimane, nell’intuizione creativa e
nel processo artistico, una forza insostituibile.
La Città eterna come grande palcoscenico, in questo caso, non tanto nei
suoi luoghi iconici e altisonanti, quanto nel suo intrigato e caotico tessuto
urbano, fatto di luoghi periferici, edifici dismessi, tangenziali, stazioni…
È qui che Alessandra Carloni, pittrice e street artist ricava le sue
suggestioni, che poi riconduce al suo mondo visionario, che ha come
protagonista l’iconico esploratore (alter ego dell’artista), spesso provvisto
di visore che intraprende viaggi impossibili, cavalcando curiose macchine
volati, mongolfiere, marchingegni di ogni genere…
Le due opere presentate in mostra
appartengono al Ciclo: Ibrido Urbano,
esposto nel 2024 a Palazzo Merulana. Sono state selezionate dall’artista in
quanto condividono con la Dolce Vita,
di nuovo il tema della visione, seppur su un piano diverso. I viaggi
impossibili sono pura visionarietà, così come il visore è un proiettarsi oltre,
per immaginare una città ideale, colonizzata da una natura esuberante che si
riprende i propri spazi.
Nel primo pannello: La mia Giungla, alle spalle della
malinconica ragazza, si concretizzano come in un sogno i suoi pensieri
immaginari, che prendono vita nella vegetazione lussureggiante che invade la
periferia, cambiandone il profilo.
In Pink Vision, il protagonista con indosso il visore, s’incammina
letteralmente nella foresta cittadina, penetrando metaforicamente all’interno
della sua stessa visione immaginaria. Il dinamismo di entrambe le immagini, a
cavallo tra pittura e illustrazione, è reso attraverso un segno dinamico, e una
pittura rapida che mescola l’olio al gessetto o alla matita, con risultati di
grande efficacia.
Anche
la ricerca artistica di Mauro Molle, è fortemente orientata verso la visione,
da qui i rimandi simbolici al capolavoro di Fellini. Ma come sempre accade, le
variabili sul versante dell’immaginazione sono infinite.
Nel suo caso
l’interessa per la pittura e l’illustrazione si unisce alla sperimentazione di
figure ibride, decostruite e ricomposte in un ensemble originale, spesso ironico che dà vita a nuovi personaggi
fantastici, protagonisti delle sue Little
stories, in cui convergono parti umane, con teste o zampe di animali,
oppure con oggetti che sono entrati a far parte in modo stabile e simbolico
della nostra quotidianità.
Come due
fotogrammi simbolici, estratti idealmente dalla proiezione cinematografica, Bacio e Auto, decontestualizzati dalla pellicola, diventano immagini
iconiche che racchiudono (stando all’autore), l’essenza del soggetto
felliniano. Nel contempo, l’intervento dell’artista, che estrapola le immagini,
le riproduce e soprattutto aggiunge il colore, che è emozione viva, stabilisce
un dialogo profondo con l’opera del grande regista.
Bacio non è solo
l’incontro tra i due protagonisti, ma anche l’essenza di quella dimensione
edonistica, sotto la quale s’intravvede una realtà fatta di solitudine e
superficialità.
Lo stesso rimando
ambivalente è presente in Auto, dove
Marcello accarezza inconsapevole e inquieto le curve di una lussuosa e
avvenente autovettura sportiva.
La mostra si
chiude idealmente con Que Reste T’Il De
“La Dolce Vita, ovvero con l’opera realizzata da Valerio Scarapazzi nel
corso della sua performance.
Anch’egli
eclettico artista romano, attratto da quel vissuto urbano dal quale ricava i
suoi molteplici stimoli multiformi, da cui traggono origine i suoi lavori, che
diventano racconti di un contemporaneo cittadino. La frammentarietà dello
stimolo che mette in azione il processo creativo, necessita di una tecnica di
ripresa rapida, la stessa che l’artista ha impiegato nel corso della sua
performance, fatta di pittura, acquerello, gessetti, matite, collage…
La sua Que Reste T’Il De “La Dolce Vita, è una
miscela di momenti diversi che s’inseguono sul foglio, estratti come stimoli
vivi dalla pellicola e poi riattualizzati. Un sovrapporsi dinamico tra presente
e passato, con l’iconica fontana che fa da sfondo a frammenti di viva
quotidianità: fatti di baci fuggevoli, incontri, scoter parcheggiati e I-phone.
Prof. Carlo Piga




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